Molestie sessuali sul posto di lavoro
Le donne in Italia guadagnano meno degli uomini, anche se svolgono lavori simili. Se hanno il coraggio di voler avere un figlio, vengono guardati in modo diverso dal datore di lavoro e in alcune aree non hanno nulla da cercare nelle posizioni dirigenziali. Se prendiamo in considerazione anche le molestie emotive o addirittura sessuali, la situazione non è affatto rosea. La donna deve combattere i pregiudizi.
Che il capo ti inviti a un “caffè” o che uno dei tuoi colleghi ti “appenda” durante il servizio non è più una novità. Gli uomini di solito fanno commenti sull’aspetto fisico dei loro colleghi o addirittura chiedono dettagli sulla loro vita intima. Bene, tutto questo si chiama molestia sessuale e non dovresti accettarlo. Non lo accetta nemmeno se sta scherzando.
Questi comportamenti sono severamente puniti dalla legge italiana, in questi casi è bene rivolgersi ad un avvocato.
Esempi di molestie sessuali sul posto di lavoro
Gli esempi ulteriori in questo campo sono innumerevoli. Molte sono le sfumature che vanno da un sincero e gentile complimento alla molestia vera e propria.
Se dico “che bel vestito che hai oggi”, normalmente sto facendo un complimento gentile. Se invece dico “che bel vestito aderente che hai, ti si vedono tutte le curve”, allora in tal caso possiamo dire che il limite è stato sorpassato.
Se aiuto una collega a togliersi il cappotto e ad appenderlo all’attaccapanni può essere un comportamento cortese. Ma se approfitto della vicinanza fisica per un contatto non voluto allora anche qui ho oltrepassato il limite.
Cosa dice la normativa penale e giuslavoristica
La legge di bilancio in vigore dal 01.01.2018 ha previsto due nuove norme volte a tutelare chi agisce in giudizio per molestie o molestie sessuali sul luogo di lavoro e contro le conseguenti discriminazioni.
Il datore di lavoro deve assicurare condizioni di lavoro tali da garantire l’integrità e la dignità dei lavoratori. E’ altresì incoraggiato ogni accordo con le organizzazioni sindacali dei lavoratori (informazione, formazione del personale ecc.) volto a prevenire questo fenomeno.
La nuova norma prevede che la lavoratrice o il lavoratore che denunci discriminazioni per molestie sessuali sul luogo di lavoro non può essere sanzionato, né licenziato o trasferito e neppure affidato ad altre mansioni, in conseguenza della denuncia.
Si parla a questo proposito di “licenziamento ritorsivo o discriminatorio”, che è nullo e comporta il diritto alla reintegra sul posto di lavoro, indipendentemente dalle modifiche apportate dal Job Act. Allo stesso modo sono nulli sono anche il cambio di mansioni nonché qualsiasi altra misura ritorsiva.
Tuttavia la tutela non è garantita nel caso in cui sia accertata, la responsabilità penale del denunciante per i reati di calunnia o diffamazione ovvero nel caso in cui la denuncia sia infondata.
Quanto alle sanzioni penali, bisogna stabilire fino a dove ci si è spinti. Come già detto, un pizzicotto sulle natiche, una toccatina alla scollatura della camicetta o un tentativo di bacio sul collo possono integrare il reato di violenza sessuale, reato che si configura anche in assenza di un rapporto sessuale vero e proprio.
Analoghe conseguenze ha anche il semplice ricatto (anche in modo velato) con il quale il datore di lavoro pone la propria dipendente di fronte alla scelta se sottostare alle sue avances o perdere il posto di lavoro. In questo caso si parla più propriamente del reato di mobbing.
Se invece si tratta di un comportamento sporadico potrebbe configurarsi il reato di tentata estorsione o di violenza privata. Secondo la Corte di Cassazione, infatti, siamo di fronte al reato di violenza privata quando le avances del capo alle sue dipendenti vengono mosse abusando del ruolo di superiore gerarchico.
Avvocato Paolo Dall’Ara
paolo.dallara.studio@gmail.com
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